San Biagio 
      
       La storia  della vita di San Biagio è avvolta nel mistero: sappiamo che fu Vescovo di  Sebaste e che venne martirizzato da Agricola, Governatore della Cappadocia e  dell’Armenia, verso il 316, durante la persecuzione di Licinio. Le sue reliquie  vennero trasportate, durante le Crociate, in Occidente e compirono tantissimi  miracoli di guarigione: per questo il suo culto divenne celebre. Dall’XI secolo  San Biagio entra nel Calendario Romano; nella Città Eterna sorsero, in suo  onore, ben 35 chiese, la più celebre era quella ad caput seccutae, presso l’odierna Via Giulia. 
        Riportiamo la  vita del Santo come tramandata dalla tradizione e dalla leggenda. 
        Nato a Sebaste  – in Armenia – fin da giovinetto fu caro a tutti per la purità dei suoi  costumi, la dolcezza del suo carattere e per la sua eminente pietà. Studiò con  molto profitto la filosofia e le cognizioni che acquistò nello studio della  natura gli diedero il gusto della medicina in cui riuscì magnificamente. 
        Nell’esercizio  di tale professione, a contatto delle miserie della vita, imparò a disprezzare  i beni terreni e a stimare quelli celesti. Pensava già di ritirarsi in  solitudine quando, essendo morto il Vescovo di sebaste, fu eletto come suo  successore per acclamazione di tutta la cittadinanza. 
        Diede nuovo  lustro alla sua grande virtù ed ebbe una vita ancora più santa. Si dedicò  all’istruzione del suo popolo tanto con l’esempio come con le prediche, e tutti  trovarono in lui il Padre,il Pastore, il Maestro e la guida sicura sul cammino  del Cielo. Ma l’amore che egli aveva per la solitudine ebbe il sopravvento: si  ritirò sopra un aspro monte chiamato Argeo e abitò in una caverna aperta a  tutti i venti: là accoglieva tutti quelli che venivano e lui, li istruiva, li  consolava e compiva per loro miracoli di guarigioni istantanee. Verso l’anno  315, Agricola, venne a Sebaste per perseguitarvi i cristiani. Quando seppe che  il Vescovo Biagio viveva sul Monte Argeo, in una caverna, mandò i suoi uomini a  catturarlo ed a condurlo in città. Appena si sparse la voce che il Santo veniva  condotto a Sebaste, le strade si riempirono di una grande folla di popolo. Ecco  dalla folla uscire una madre in lacrime, che, piena di confidenza nell’orazione  del Santo, venne a mettere ai suoi piedi l’unico suo figlioletto che stava  morendo soffocato per una lisca, che gli era entrata in gola e lo strangolava.  San Biagio, commosso per lo stato pietoso della povera creaturina boccheggiante  e per le lacrime della madre, si mise in ginocchio, pregò a lungo, poi, alzatosi  in piedi, fece il segno della Croce sull’infermo e il fanciullo restò  all’istante guarito. Da questo miracolo ebbe origine la devozione universale a  questo Santo per i mali di gola. 
        Giunto in  città, fu gettato in un oscuro carcere. Il giorno seguente venne condotto  davanti al Tribunale, ove Agricola tentò di fargli rinnegare la fede, ma non  ottenendo nulla, lo fece battere con verghe e poi ricacciare in prigione. Fu  richiamato la seconda volta alla presenza del luogotenente, che gli chiese di  adorare gli dei, ma ricevendo risposta negativa, fece legare il Santo ad un  palo, e lo fece flagellare con verghe di ferro, poi straziato sull’eculeo con  pettini di ferro, dopo di che lo rimisero di nuovo in prigione. Richiamato per  la terza volta e non ottenendo risultato alcuno, Agricola fece gettare il Santo  in un lago che era lì vicino, ma dopo essersi fatto il segno della croce,  Biagio si fermò alla superficie dell’acqua e vi camminò come su terra solida. 
        Allora  l’accecato luogotenente pronunciò sopra Biagio la sentenza, che suonava  decapitazione. Il Santo, col sorriso sulle labbra, si recò pregando sulla  Piazza del patibolo non cessando mai di confermare la sua fede in Cristo  crocifisso, fino a quando il colpo feroce gli troncò la testa. 
        Così egli  diede un’illustre testimonianza della sua fede a Cristo, il 3 febbraio  dell’anno 316. 
    In lui si avverò la grande promessa: est  fidelis usque ad mortem et debo tibi coronam vitae.  |